Fenomenologia del mazzo di fiori

Erica Di Cillo
5 min readNov 25, 2020

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Photo by Artsy Vibeson Unsplash

Mi piacciono i mazzi di fiori. Quelli grandi, che quando te li consegnano il profumo si spande nell’androne del palazzo e su per le rampe delle scale. Quelli che quando la gente li vede un po’ li invidia, perché — diciamocelo — se hai qualcuno così fuso da spendere soldi per una roba che nel giro di una settimana appassirà, allora vuol dire che hai cul… ehm, fortuna.

Fenomenologia (semiseria e un po’ di parte) del mazzo di fiori

Che poi uno li guarda sospirando, ma magari dietro i fiori ci sono le corna, quelle fatte o quelle ancora di là da venire, quelle neppure immaginate — perché non ce n’è stata l’occasione, e intendo proprio l’occasione di conoscere la persona con cui si consumerà il tradimento. Capitano anche queste cose.

Fatto sta che a me piacciono i mazzi di fiori, e ho il sospetto che piacciano anche a te che mi leggi. Già, proprio tu che scuoti la testa e pensi “Ma questa è fuori, piuttosto mazzi di scarpe, come diceva Geppi Cucciari in uno dei suoi sketch”, eppure ti assicuro che sono stata anch’io così categorica. I mazzi di scarpe sono sempre ben accetti, niente da dire, sebbene secondo le credenze regalare scarpe porti parecchia sfortuna. Sulle pantofole devo informarmi bene, invece, penso che saranno l’articolo di punta del prossimo Natale. Ti è sfuggito un altro sospiro? Anche a me: sob.

Ah, preciso che ad essere sincera i fiori li preferisco sempre nel loro ambiente naturale, ma visto che ci siamo inventati l’usanza di raccoglierli, allora perché non dovrebbero essere distribuiti equamente? Dico per dire.

Photo by Irina Iriseron Unsplash

Poiché ho capito che i fiori mi piacciono, e che avrei voluto riceverne di più in questi 33 anni e mezzo, devo anche domandarmi cosa mi abbia spinta a negare l’evidenza così a lungo. Rifiuto di un cliché associato a una visione anacronistica della donna? Non credo, sarebbe troppo facile. Cinico tentativo di combattere ogni moto romantico che sentivo crescere in me — e, aggiungerei, un tentativo anche un po’ maldestro, dato che invece non ho mai contrastato il mio amore smisurato per gli oggetti di colore rosa, i fenicotteri, lo zucchero filato? Chi può dirlo. Magari è soltanto una tappa del percorso di ognuno, che ci porta a comprendere, ma soprattutto ad accettare, che quanto più diciamo di non volere una cosa, tanto più la desideriamo nel profondo. Magari la temiamo, o pensiamo che sia sbagliata. Magari, più semplicemente, non ce l’abbiamo in quel momento, e pensiamo che il nostro computer di bordo si accontenti delle boiate che gli raccontiamo.

E poi: col tempo si cambia, o cambiano i tempi? Entrambe le cose, direi, altrimenti Dente non avrebbe cominciato la sua “Beato me” con quel verso: “Comprati un mazzo di fiori che poi ti do i soldi”. Correva l’anno 2009, è già passata poco più di una decade. Sembra ieri che i ragazzi lo citavano pensando di essere super divertenti, eh?

Seguendo questo fil rouge “floreale”, approdo a uno dei libri letti in questo 2020, Mujeres que compran flores (Donne che comprano fiori) di Vanessa Montfort, e che mi sono ritrovata per le mani a fine gennaio, nella Feltrinelli di via Vittorio Emanuele Orlando, a Roma, mentre sceglievo il regalo per un’amica. Sarei partita per Madrid di lì a pochi giorni, come rinunciare a un libro ambientato proprio nella capitale spagnola? Non sono io ad aver scelto le storie delle cinque donne che gravitano intorno al negozio di fiori di Olivia, El Jardín del Ángel, sono loro ad aver scelto me: un incontro fausto, di quelli che fanno bene al cuore. In quel momento, però, non sapevo che nei mesi a venire avrei frequentato molti fiorai e vivai, per riempire di piante il mio balcone e la mia nuova casa. I mazzi di fiori, però, non me li compro da sola!

Beh, c’è un’altra tappa in questo flusso di coscienza, la serie tv messicana La casa de las flores (su Netflix): non so se mi sia piaciuto più lo humor nero o il personaggio di Paulina, probabilmente salgono sul podio mano nella mano. Fammi sapere se l’hai vista e cosa ne pensi, non tenerti tutto per te, mi raccomando.

Photo by ekrem osmanogluon Unsplash

Torniamo a bomba (al mio tre, tutti quelli che non sopportano questa espressione alzino la mano). Mi piacciono i fiori, dicevamo, anzi, potrei addirittura scoprire di esserne ossessionata, diventare una specie di Becky Bloomwood dei mazzi di fiori, una flower-holic (l’hashtag esiste, ho controllato), o l’ambassador di qualche servizio che li consegna in tutto il mondo. Potrebbe funzionare. Intanto ho finalmente rotto questo mio tabù scrivendone. Chissà, magari la prossima volta che qualcuno mi chiederà perché voglio lavorare da freelance risponderò che è per non dover andare in un ufficio dove arrivano mazzi di fiori giganti per i compleanni e gli anniversari: è un bel sollievo non doversi chiudere in bagno a piangere perché quei fiori non sono per te, non trovi?

Insomma, insomma, dovremmo vivere tutti una di quelle scene da commedia rosa in cui la protagonista riceve un enorme bouquet, non capisce chi glielo ha spedito e deve decifrare la firma sul biglietto manco fosse un’iscrizione in lingua etrusca. Giuro che attingerei alle mie migliori doti interpretative, davvero, ce la metterei tutta per essere credibile. Eh già, la fantasia è sempre stato il mio problema, e insieme la mia salvezza, ma è comunque un disagio perdersi a sognare a occhi aperti e immaginare universi paralleli dove nella mia cassetta della posta non arrivano soltanto bollette e bilanci consuntivi del condominio.

Dovremmo regalare più fiori, anche alle amiche e agli amici, per ricordarci tutti insieme di quanto possono essere appaganti e meravigliose le cose effimere e di quanto importante è la bellezza nelle nostre vite.

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Written by Erica Di Cillo

Freelance Digital Copywriter | Web Writer | Content Manager

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